Fallimento 2005, 20 milioni di motivi per non gridare all’ingiustizia. Aliberti, i debiti e la memoria corta

La memoria corta o l’incoerenza sono caratteristiche che contraddistinguono la stragrande maggioranza dei tifosi che, mossi dalla passione, ragionano in modo poco equilibrato senza tener conto dello svolgimento dei fatti. Prendiamo l’esempio di Aniello Aliberti, artefice della promozione in A del 1997-98 (per qualcuno avvenuta con Casillo alle spalle, Di Vaio arrivò a Salerno proprio su suggerimento dell’ex patron del Foggia), ma anche di due retrocessioni (una già a dicembre, con appena 4 vittorie e record negativi infranti in serie) e di tanti piazzamenti a ridosso della quartultima che oggi farebbero parlare di galleggiamento. Se i fatti del 1999 gridano ancora vendetta e quella Salernitana è stata virtualmente spinta in B da tanti fattori extracalcistici, scandalizzarsi per il fallimento del 2005 è invece un errore. Certamente ad altre realtà inguaiate come i granata fu concesso un trattamento diverso: la Reggina fu regolarmente iscritta, il Napoli fu già salvato dal Lodo Petrucci e invece doveva ripartire dalla D, a Messina bloccarono i traghetti e si chiuse un occhio per club che godevano evidentemente di una regia occulta molto più potente e incisiva. Del resto Aliberti, da consigliere di Lega, aveva tanti nemici e non si era mai piegato a nessun tipo di compromesso. Un merito, certo, ma anche un rischio.

Quella Salernitana, però, aveva oltre 20 milioni di euro di debiti e già due anni prima fu momentaneamente estromessa dalla Co.Vi.Soc. per inadempienze: fu necessario vendere Di Michele per ripianare il bilancio, ma molti protagonisti nell’annata 2004-05 hanno rimarcato nel tempo che le problematiche erano tantissime e non si poteva andare avanti ancora per tanto tempo. La domanda sarà sempre la stessa: chi ha operato a Salerno in tempi ricchissimi (tra Telepiù e stadio sempre pieno) vendendo a peso d’oro i vari Vannucchi, Di Vaio, Song, Gattuso, Rossi, Fresi e tanti altri, come fa ad accumulare una cifra così spaventosa di debito? “Non pagava nemmeno la bolletta della luce” ironizzavano i tifosi all’epoca, tutti o quasi desiderosi di ripartire dalla C con un’altra società pur di “liberarsi” di un presidente contestato da dieci anni e che non aveva mai nemmeno sfiorato la promozione dal 1999 in poi. “Ma alla Lazio di Lotito fu riservato un trattamento diverso” è opinione altrettanto comune, ma forse qualcuno dimentica che sono situazioni completamente diverse:a Lotito fu riconosciuto il subentro in corso d’opera e c’erano proroghe e tempistiche diverse ,senza dimenticare il piano finanziario ritenuto solido e stabile. Che garanzie poteva dare, invece, Aliberti che, non contento, iscrisse una squadra di giovanotti in terza categoria umiliando il calcio salernitano con i derby a cospetto del Messico e Nuvole? Altra parentesi: per gli organismi sportivi la vera continuità sportiva era rappresentata dalla Salernitana Calcio 1919 affidata ad Antonio Lombardi e ai suoi 12 soci.

Nel raccontare i fatti bisognerebbe almeno conoscerli. Che Aliberti fosse un esperto di calcio, abile ad organizzare il settore giovanile e a proporre iniziative di marketing coinvolgenti, non c’è dubbio alcuno. Così come non c’è dubbio che contestare Lotito rimpiangendo chi ha fatto fallire la Salernitana è un controsenso totalmente poco credibile, insensato. Se all’epoca in 5000 scesero in piazza a tutela del nome di Salerno chiedendo, allo stesso tempo, la fine dell’era Aliberti un motivo ci sarà. Le lacrime che il patron ha versato col Vicenza sono le stesse dei salernitani in quella calda estate del 2005. Quando un club indebitato fino al collo si ritrovò nel baratro a causa di una gestione scellerata. Chiosa su un episodio accaduto pochi mesi fa, a ridosso delle celebrazioni del centenario. Aliberti, invitato alla presentazione di un libro, ribadì più volte che “la vera Salernitana è finita nel 2005, tutto il resto non ha nulla a che vedere con la storia granata”. Lecito pensarla così, ci mancherebbe. Coerenza, però, imponeva di non accettare quell’invito. Ma era occasione forse troppo ghiotta per alimentare tensioni in un ambiente già in fibrillazione.

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