I conti (non) tornano: Lotito obbligato alla A, tutti i motivi per non restare in B

Galleggiamento è la parola più usata sui social quando si definisce il presente o il futuro della Salernitana. Lotito non vuole andare in A, il suo interesse è mantenere Salerno in cadetteria per poter usare la squadra come trampolino di lancio per i campioncini della Lazio: è questo almeno quello che una parte di tifosi granata imputa al co-patron. Ma siamo certi che sotto il profilo economico convenga a Lotito e Mezzaroma “galleggiare” in serie B? Al netto di tesi non dimostrabili come quelle che parlano di un giro di affari tra Lazio, Salernitana e società “satelliti” in categorie inferiori, c’è un dato di fatto incontrovertibile: paradossalmente la proprietà aveva introiti maggiori nelle categorie inferiori e riusciva a vincere spendendo meno. Dal 2015 ad oggi, invece, il progressivo distacco della tifoserie, il monte ingaggi e gli investimenti sulle strutture hanno svuotato le casse di una società capace, nonostante tutto, di mantenere il bilancio in attivo grazie alla bravura della dirigenza in termini di plusvalenze e dell’area marketing che ha triplicato gli introiti da sponsor. Ma torniamo al capitolo spese. Claudio Lotito e Marco Mezzaroma sono imprenditori troppo intelligenti per non sapere che soltanto in serie A raccoglieranno i frutti di quanto seminato dal 2011 in poi. A prescindere dalla modifica o meno del famoso articolo 16 bis delle Noif, entrambi sembrano orientati a cedere in caso di promozione per poi, chissà, ripartire da una piazza diversa (Repubblica parla di Catania, laddove andrebbero incontro alle esigenze dell’amico e collega Pulvirenti). I numeri fanno capire quanto sia “folle” immaginare una strategia preconfezionata atta a restare a  vita in cadetteria. La Salernitana costa mediamente 10-12 milioni di euro all’anno: 8 per il monte ingaggi dei tesserati, altri 2 per l’organizzazione di ritiri e trasferte, senza dimenticare le spese per il settore giovanile, per la manutenzione del manto erboso dell’Arechi, per l’acquisto dei calciatori da altri club. Tutto ciò diventa ancora più gravoso se si considera che gli incassi sono dimezzati. Dimenticatevi i tempi in cui i diritti tv arricchivano le squadre.

Oggi, con DAZN, nella migliore delle ipotesi la Salernitana percepisce appena un milione di euro al netto dell’imponente bacino d’utenza. Già 3 milioni in meno rispetto all’epoca di Sky, tanto per intenderci. Aggiungiamo il discorso botteghino. Nel campionato 2015-16, i tifosi garantirono quasi 2 milioni di euro grazie ad una presenza massiccia e numerosa sugli spalti. Lo testimoniano i 26mila di Salernitana-Lanciano, i 23mila paganti contro Modena e Avellino, i 5500 abbonati e i 18mila che presenziarono contro Vicenza e Como. Numeri di categoria superiore. Da tre anni a questa parte, invece, in proporzione la media spettatori è addirittura inferiore a quella della C: la Salernitana, in soldoni, ha perso oltre il 60% di spettatori e di incassi (si arriva a stento a 850mila euro l’anno, dai quali detrarre la percentuale da corrispondere al comune pari al 5,5%) ma nel frattempo continua a pagare sedici miliardi di vecchie lire di stipendio. Limitandoci soltanto a questa stagione, i soli Cerci e Rosina costano 1,2 milioni di euro lordi, mentre Djuric, Giannetti e Jaroszynski sfiorano o superano i 300mila euro netti. In A, naturalmente, gli investimenti frutterebbero tantissimo dal momento che il valore della Salernitana potrebbe superare tranquillamente i 20 milioni di euro. Cambiasse la norma sulla multiproprietà, invece, Mezzaroma (che, però, palesò pubblicamente la volontà di non proseguire da solo) godrebbe di un numero eccellente di abbonati, di un Arechi sempre pieno, di diritti tv stellari, di sponsor milionari e di una serie di operazioni di marketing favorite dalla possibilità di affrontare le big della serie A e di ospitare calciatori di livello internazionale.

C’è chi aggiunge, tuttavia, che grazie a questa situazione Lotito può svezzare a Salerno i giovani più interessanti della Lazio per poi riportarli alla base più forti e con un valore economico triplicato. In questo caso, però, si tratta di un rischio. Il Lombardi di turno o tanti altri talenti in orbita biancoceleste potevano essere tranquillamente venduti a cifre importanti al Chievo di turno o a qualunque altra squadra di B e di A. Portandoli a Salerno, invece, la presidenza rinuncia ad una potenziale plusvalenza pur di rinforzare tecnicamente i granata. In sintesi: la doppia proprietà può comportare anche tanti vantaggi, avere alle spalle un club blasonato come la Lazio fu il requisito fondamentale che spinse l’amministrazione comunale a scegliere la loro proposta e non le altre sei. Tutte, tra l’altro, modeste sul piano finanziario. Basterebbero questi ragionamenti logici e semplici per capire quanto sia fuori luogo ipotizzare che un qualunque imprenditore voglia deliberatamente mantenere una categoria che costa e non frutta. La B è una perdita continua, non a caso i patron hanno allestito una rosa teoricamente in grado di competere per il grande salto. Ma l’avvento di Ventura, abbinato ai giocatori portati a Salerno, lascia pensare che la direzione sia comunque quella e sia soltanto questione di tempo.

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